
I Vigneri, un antico lavoro…
La Maestranza dei Vigneri, associazione di viticoltori, fu fondata nel 1435 a Catania. Essa creò – come spiego nel mio libro “La montagna di fuoco” edito da Food Editore – le basi per una professionalità vitivinicola i cui protagonisti erano gli stessi produttori viticultori. Ispirandoci a quest’associazione abbiamo creato un consorzio, “I Vigneri”, appunto, che vuole portare avanti un’esperienza nuova attraverso una ricerca storica, sociale e tecnica diretta a fare una vitivinicoltura non di qualità, ma di eccellenza. Quello che si è perso negli ultimi trent’anni nel nostro settore è la professionalità viticola intesa come la capacità manuale di lavorare in vigna. A un certo punto sembrava che dell’uva se ne potesse fare a meno, c’erano i coadiuvanti tecnologici; sembrava non fosse più Intervista all’enologo necessario nemmeno uscire dalla cantina…
Le operazioni agronomiche nel vigneto erano – e lo sono tutt’ora in diverse parti d’Italia – demandate spesso a immigrati, a chi il lavoro lo fa per necessità e non per scelta. Con la nascita dei Vigneri abbiamo voluto vestire di una veste nuova un lavoro antico, umile, denigrato qui in Sicilia, riqualificandolo, per non perdere per sempre l’uomo che se ne occupa e la cultura che egli rappresenta. Quello dei Vigneri è un lavoro fisico, tutto avviene ancora manualmente senza l’impiego di macchine.
La valorizzazione delle competenze, l’orgoglio di svolgere un lavoro altamente qualificato creano piacere che si traduce in ottimismo, buon umore anche quando si torna a casa la sera in famiglia. Tutto questo sviluppa un circolo positivo, immette umanità nel vino che noi produciamo.
Già, l’umanità in un vino…
Per me è un importante valore aggiunto. Quando assaggio un vino, ciò che mi affascina è la storia umana che esso cela, gli uomini che l’hanno prodotto, il contesto e la tradizione che lo sottendono… D’altronde perché beviamo il vino? Perché deve suscitare emozioni. Sapere che non c’è umanità dietro di esso, che è frutto di sola tecnologia, è per me demotivante.

il contesto e la tradizione che lo sottendono…” (Salvo Foti)
I Vigneri sono arrivati fino in California!
Abbiamo attraversato l’Oceano per raccontare come lavoriamo. Ci hanno chiamati perché incuriositi dai nostri metodi di coltivazione, capaci di dare straordinaria longevità ai vigneti. Abbiamo sviluppato dei contatti con la Georgia e insieme ai georgiani stiamo facendo esperienze con le anfore. I Vigneri sono sempre più conosciuti, qui è un via vai di persone interessate al nostro modo di lavorare.
Siete un consorzio…
… che opera attualmente su 30 ha, 14 sull’Etna e i rimanenti tra il Faro e Lipari. Proprio a Lipari è stata realizzata una cantina che autoproduce parte dell’energia utilizzata sfruttando il vento delle Isole Eolie. Per le aziende che hanno aderito al consorzio, forniamo manodopera specializzata, ci occupiamo della sistemazione e della cura del vigneto, dei muretti a secco, ma anche dei fabbricati che compongono l’azienda. Raccogliamo l’uva che vinifichiamo nelle nostre tre cantine a Lipari, sull’Etna e a Chiaramonte Gulfi.
Noi lavoriamo ad alberello, com’è sempre stato, con il vitigno del luogo. L’unicità legata al luogo, al territorio, alla terra e al vitigno consente di produrre vini straordinari imbottigliati in una bottiglia dedicata che riporta in rilievo il simbolo de I Vigneri. Cerchiamo di lasciare molte identità e tipicità alla produzione. Questo è fondamentale perché rende i vini disuguali ma nello stesso tempo unici.

compongono l’azienda. L’uva raccolta viene vinificata nelle tre cantine del Consorzio: a Lipari, sull’Etna e a Chiaramonte Gulfi
Vini unici prodotti in un territorio particolarissimo.
Nei vini che si producono in questo territorio c’è tutta la potenza dei vini del Sud. Ma l’alcolicità – che in un Mascalese può raggiungere anche i 14-14,5°C – non l’avverti perché il vino ha una grande eleganza, una mineralità legata al terreno che, essendo vulcanico, non contiene calcare. La maturazione lenta delle uve fa sì che i profumi vengano particolarmente esaltati. Quindi, un vino dai contenuti importanti ma ben equilibrato, le cui note caratteristiche danno una piacevolezza e una persistenza in bocca che invitano a gustarne ancora un po’.
Vini antichissimi, quanto conta oggi per lei la tecnologia?
Dal punto di vista qualitativo i vini etnei sono oggi migliorati molto grazie alla tecnica. È però importante non abusare dell’innovazione e produrre un ottimo vino partendo da un’ottima uva. Personalmente cerco di lavorare bene in vigna raccogliendo di meno, ma lavorando un’uva completa nelle sue caratteristiche. La conoscenza, oggi facilmente fruibile, ci permette di fare scelte sensate. La nostra filosofia è quella di produrre seguendo un’etica, perciò: rispetto dell’ambiente e delle persone che lavorano in vigna e in cantina. La qualità non è d’altronde solo quella intrinseca nel vino, ma è anche quella etica. In tema di qualità molto oggi gioca la pulizia in cantina. Noi effettuiamo tutte le operazioni di igienizzazione utilizzando vapore.
Certo in passato non era così, penso a quando si lavorava per caduta negli antichi Palmenti. Queste cantine, realizzate in pietra lavica, erano organizzate su più piani e la filiera produttiva procedeva per caduta. Si pigiava l’uva nel livello più alto dell’edificio all’interno di una vasca in roccia lavica. Attravearso stretti canali, ancora in pietra lavica, il mosto giungeva in una vasca sottostante per la prima fermentazione, sempre per caduta e attraverso canali il mosto fermentato raggiungeva un’altra vasca oppure le botti in castagno. Oggi una vinificazione del genere non è più consentita per legge, il mosto riposa in serbatoi chiusi in acciaio…

A proposito di cantina. Le vostre scelte tecnologiche?
Ci siamo affidati per il blocco d’imbottigliamento alla Alfatek, azienda con la quale si è creato un ottimo rapporto dal punto di vista umano e tecnico. Abbiamo istallato nelle nostre tre cantine 2 linee d’imbottigliamento da 5.000 bottiglie/ora e 1 da 2.000 bottiglie/ora. Complessivamente il Consorzio produce oggi 100mila bottiglie ma a regime raggiungerà le 200mila. Per quanto riguarda le diraspapigiatrice, utilizziamo Vaslin e Scharfenberger.
Come pressa pneumatica per i bianchi, rosati e basi spumante abbiamo una Scharfenberger e una Willmes. Le pompe peristaltiche in uso sono della CWM, le mohno della CSF Inox, mentre i serbatoi d’acciaio costruiti su misura e su nostre specifiche provengono da un’azienda artigianale locale, la Cucuzza Inox.
Un sogno nel cassetto?
Quando ho iniziato questa professione tutto pareva in salita, oggi il futuro è roseo. Il mio lavoro non è fine a se stesso ma volto a creare le basi affinché ci sia una continuità in famiglia, un passaggio generazionale. Un giorno chiesi al bisnonno, uomo di grande saggezza, quale fosse la prima cosa a cui pensare quando si decide d’impiantare una vigna. Lui mi rispose: fare dei figli, perché a qualcuno la vigna la devi pur lasciare… Il mio sogno nel cassetto è quindi che i figli proseguano il lavoro che con grande fatica e sentimento è stato impostato in questi anni.