Dazi USA: strategia, equità e reciprocità. Il valore del Made in Italy non si discute

Tra preoccupazioni per i dazi statunitensi e possibili opportunità, a Vinitaly gli esperti del settore e le istituzioni tracciano il futuro del comparto, focalizzandosi sulle soluzioni in grado di garantire la competitività del vino italiano

 Tra dazi e rivoluzione dei consumi: il vino a una svolta storica?” è il titolo dell’evento promosso da Federvini tenutosi lunedì 7 aprile 2025 nel corso della 57esima edizione di Vinitaly. Parole evocative per un momento di confronto e riflessione sulle attuali sfide che preoccupano il mercato. Dalle imposizioni daziarie statunitensi alla repentina modifica dei consumi, con un nuovo approccio da parte dei giovani.

Una platea numerosissima per la presenza di importanti speaker, istituzionali e del mondo imprenditoriale, riuniti assieme per discutere del futuro di un comparto trainante per il Made in Italy, ma turbato dalle recenti dichiarazioni del Presidente Trump. Quello statunitense è infatti il principale mercato di destinazione del vino italiano: assorbe quasi un quarto (24%) del totale venduto dal Bel Paese, a livello globale, con un valore che ammonta a quasi 2 miliardi di euro annui, secondo Nomisma Wine Monitor.

L’aumento dei prezzi e il potere d’acquisto statunitense

Con l’imposizione di un dazio del 20% (ad valorem, quindi al netto dei costi di trasporto) la competitività del vino Made in Italy sul mercato d’Oltreoceano potrebbe essere minata. Il “nuovo” prezzo dell’import varierebbe in maniera sostanziale ma sopportabile (da un +0,90 centesimi di euro a litro per il Prosecco fino a poco più di 2,5 euro per i vini rossi piemontesi). Ma non è questo incremento che preoccupa.

Per certi versi potrebbe apparire tollerabile in considerazione della qualità, particolarmente apprezzata dal consumatore locale. È l’aggravio che ne consegue. I tre successivi passaggi previsti dal sistema distributivo americano (importatore, distributore e venditore al dettaglio) determinano un aumento del prezzo importante: il vino arriva sugli scaffali con un costo fino a quattro volte superiore rispetto a quello di ingresso in dogana.

E, considerando che questa procedura non riguarda solo il vino ma tutti i beni importati negli USA, è chiaro che si va a configurare una situazione critica. La configurabile inflazione mina il potere d’acquisto del consumatore che, per forza di cose, si troverà a fare scelte di spesa più “convenienti”. Potrebbe allora optare per un vino a stelle e strisce, come quello californiano, già importante competitor prima di oggi.

È anche vero, però, che il vino Made in Italy può contare su una solida presenza che difficilmente potrà essere sostituita: ci riferiamo ai numerosi ristoranti italiani, preziosa e stabile via di distribuzione, che ne garantisce il consumo. Tuttavia, se diminuisce il potere d’acquisto del singolo cittadino, anche in questo caso la situazione appare instabile, seppur leggermente.

No agli allarmismi: la reale imposizione daziaria e la produzione locale

Qual è quindi la soluzione a tutto ciò? In primis evitare eccessivi allarmismi. Al netto della sicura imposizione daziaria (che dovrebbe partire il 9 aprile 2025, per i dazi ad valorem), ricordiamo che già dallo scorso 5 aprile tutte le merci importate nella Federazione statunitense sono gravate dalla tariffa daziaria del 10%. Pertanto, a conti fatti, il vino è penalizzato di un reale 10% rispetto ai suoi competitor internazionali provenienti dai Paesi “graziati”. Pensiamo al Cile, ad esempio, che non rientra tra i Paesi Target, con produzioni gravate dal dazio “base” erga omnes.

Il problema resta se invece ci riferiamo ai vini statunitensi. Ma anche in questo caso la razionalità deve prevalere sull’emotività: quanto può essere produttivo il mercato locale? Gli USA intendono proteggere l’economia nazionale e spingere sull’acceleratore della produzione. Ma il vino non è un oggetto di fabbrica intensiva. L’uva ha i suoi tempi, segue (fortunatamente) il corso delle stagioni, ed è questo affascinante ciclo della natura che rappresenta un indubbio vantaggio per i produttori globali. A un certo punto, la domanda locale non potrà più essere soddisfatta dalla produzione autoctona. E questo potrebbe accadere prima del previsto.

La diplomazia e le possibili soluzioni per i dazi USA

Tuttavia, al di là delle dinamiche legate alla stagionalità e alla produzione del vino, le Istituzioni sono già al lavoro per individuare le migliori soluzioni. L’UE ha attivato un percorso diplomatico per trovare un accordo con l’amministrazione Trump. E la stessa Federvini sta operando per contribuire a un dialogo costruttivo. Si attendono quindi ulteriori sviluppi, in tal senso.

Intanto serve una voce unanime e una visione strategica, secondo Micaela Pallini, Presidente di Federvini, che parla di una «una regia, una visione di ampio respiro». Pensando solo in ultima battuta a un possibile piano B, per l’export di vino – come ha ricordato durante l’intervista rilasciataci. La Federazione attende di capire quali saranno le iniziative governative, e se sarà davvero necessario rivolgersi a nuovi mercati.

Micaela Pallini intervistata dalla nostra giornalista Marianna Capasso

«Abbiamo detto a chiare lettere che la sostituzione degli Stati Uniti a breve termine non è possibile, trattandosi del primo mercato per l’export italiano di vino – ha dichiarato la Presidente Pallini -. Ma potremmo iniziare a parlare di Europa, abbattendo alcune barriere, tra cui le etichettature. E risolvendo la questione delle vendite a distanza, all’interno del mercato. Proprio oggi ne parleremo con il Commissario Hansen».

Nel pomeriggio del 7 aprile, infatti, sempre a Vinitaly si è svolto il tradizionale incontro di confronto tra le principali organizzazioni della filiera vitivinicola nazionale, a cui hanno partecipato anche il Ministro Lollobrigida e il Commissario europeo. Tra i temi, oltre ai dazi statunitensi anche l’iter legislativo del “Pacchetto Vino”.

La competitività del comparto vitivinicolo è salda

Insomma, si procede intensamente, su più fronti, lungo la via del dialogo costruttivo, garantendo una forte valorizzazione del settore. E su tutto una certezza: nessun calo di competitività per il vino italiano. «Non è possibile questa cosa – ricorda Micaela Pallini -. La competitività del vino italiano non è toccata assolutamente. E attendiamo il parere dell’UNESCO sul riconoscimento al patrimonio immateriale» (con riferimento alla candidatura della tecnica della messa a riposo delle uve della Valpolicella).

Per la competitività possiamo quindi essere ottimisti?”, chiediamo. «Io direi di sì, almeno su questo», rassicura Federvini.

Alla Presidente fanno eco anche alcune imprese espositrici. Il comparto appare unito, seppur preoccupato: ogni difficoltà va vissuta come un’opportunità. Un momento di unione e di rafforzamento reciproco. Insomma, in attesa del “domani” l’unica soluzione è guardare il bicchiere mezzo pieno. E se di buon vino, ancora meglio.

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