Hordeum: il riso abbonda sul palato del birraio!

Secondo stime recenti, nella sola regione del Piemonte si producono ogni anno 1,4 milioni di tonnellate di riso e, insieme a quella lombarda di Pavia, sono le province di Vercelli e Novara a rappresentare il 90% circa della risicoltura italiana nel suo complesso. Possono contare su circa 100.000 ettari di risaia – 70.000 la prima e 30.000 l’altra – e per avere un’idea della loro importanza per il comparto basti pensare che da ogni ettaro di terreno coltivato si ricavano in media sette tonnellate di prodotto.

Parte dell’output del territorio novarese finisce per diventare materia prima per le attività del locale birrificio artigianale Hordeum – è l’espressione latina per orzo – che da cinque quintali della tipica varietà Carnaroli riesce a ricavare sino a 10 cotte da 2.000 litri ognuna. Confezionate in bottiglie da 33 o 50 centilitri, parzialmente anche in fusti per la spillatura, le birre di Hordeum sono veicolate tramite i canali della ristorazione tradizionale, degli hotel e osterie gourmet e della grande distribuzione. Né mancano le relazioni con alcuni nomi di spicco del made in Italy alimentare che l’azienda serve in qualità di private label. Il raggio d’azione è concentrato tendenzialmente fra lo stesso Piemonte, la Lombardia e la Liguria e se il fabbisogno di riso è gestito di fatto a kilometro zero, anche i malti e i luppoli sono rigorosamente garantiti da aziende nazionali.

Produzione artigianale, strategia industriale

Nella sede di corso Vercelli – che sorge insieme ad altre imprese manifatturiere nelle aree che un tempo erano occupate dalla centrale del latte Verbano – ci hanno accolti la responsabile del punto vendita con mansioni amministrative Alice Zinna e Luca Vinci, il cui ruolo è quello del mastro birraio e responsabile di produzione. Quel che è certo sin da subito è che l’uso del riso come ingrediente clou non è motivato dalla pura volontà di accodarsi al trend del legame col territorio e della sostenibilità. Senza dubbio anch’essi giocano un ruolo chiave e la loro importanza non è secondaria, ma quel che conta sono le sensazioni gustative e olfattive.

«Il riso – racconta Luca Vincirichiede tempistiche più lunghe per la fase di gelatinizzazione che precede l’ammostamento o mash con l’aggiunta di malto d’orzo, per ottenere una cotta tradizionale con temperature che vanno dai 55 a più di 100 °C. Ma il valore aggiunto che personalmente vi ritrovo è la fragranza. Senza il riso avremmo comunque le carte in regola per dar vita a un’ottima bevanda: questa è però unica e lo si sente soprattutto con la Bionda».

Vinci si è affacciato al panorama birrario in capo a esperienze del tutto diverse e, oltre che per il gusto spiccato, si distingue per la capacità di offrire una soluzione alle problematiche tecniche del quotidiano senza perderci la testa né la pazienza e con la massima disponibilità a sporcarsi le mani. «Siamo una squadra di 6 persone che, dopo il mio arrivo nel 2022, ha via via trovato un suo punto di equilibrio grazie all’impegno di tutti e al di là delle competenze individuali. La nostra è una birra che si attiene rigorosamente ai principi-cardine dell’artigianalità per l’assenza di microfiltrazione e pastorizzazione, ma al contempo persegue una strategia di tipo industriale fatta di standardizzazione delle materie prime e di tracciabilità, per soddisfare le esigenze del mercato».

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