Vini, whiskey e liquori italiani: quanto preoccupano i possibili dazi USA?

La possibile reintroduzione dei dazi, da parte degli USA, potrebbe colpire duramente gli spirits, vanificando le ottime performance del comparto, con conseguenze negative per l’intero indotto.

Simbolo di tradizione, cultura e qualità, gli spiriti vantano numerose produzioni tutelate da Indicazioni Geografiche, profondamente radicate nei territori e nelle comunità locali. Creano occupazione e valore, e rappresentano un volàno per la crescita economica di USA ed Europa – impiegando 2 milioni di persone.

Gli spiriti, dunque, appaiono come il motore di sviluppo a sostegno dell’intera filiera produttiva. Eppure, in questi ultimi mesi, la situazione sembra turbata dalla possibile reintroduzione – dal 01 aprile 2025 – di dazi settoriali (e non), nel commercio transatlantico, come ha più volte ribadito il nuovo Presidente statunitense, durante la sua campagna elettorale.

Non è quindi una sorpresa, ma è una situazione che va assolutamente scongiurata. A lanciare un appello per evitare l’imposizione tariffaria alle merci europee, destinate al mercato USA, ci hanno pensato Federvini, la Federazione Italiana dei Produttori di Vini, Spiriti e Aceti, assieme a DISCUS, il Distilled Spirits Council of the United States.

Durante la conferenza stampa del 28 gennaio 2025, presso l’Associazione della Sala Stampa Estera a Roma, le due Parti hanno analizzato l’andamento degli scambi commerciali nel passato (2017/2024), evidenziando come, qualora si tornasse a una situazione di imposizione daziaria, l’economia settoriale subirebbe inevitabili danni. E le ripercussioni colpirebbero entrambe le sponde dell’Atlantico.

La forte connessione tra Italia e USA

L’Unione Europea, dunque, potrebbe finire (nuovamente, come durante la prima presidenza Trump) nel mirino di dazi selettivi, con una forte penalizzazione di numerosi comparti. In realtà, il neo Presidente potrebbe decidere di non applicare dazi ai beni italiani: è già successo in passato, per l’agroalimentare (e i vini, quindi). In questo modo molti settori strategici per l’economia nazionale sarebbero salvi.

Chris Swonger, presidente e CEO di DISCUS

In effetti, come ha ricordato Chris Swonger, presidente e CEO di DISCUS, il rapporto tra la Premier Meloni e il Presidente USA potrebbe rappresentare un vantaggio. E, per i due Paesi, sarebbe più semplice trovare un accordo per evitare l’imposizione di dazi sugli spiriti distillati. Nel corso degli anni, le industrie statunitensi e italiane hanno mostrato una sempre più forte connessione: secondo Swonger, quindi, bisogna evitare che i rispettivi settori diventino (nuovamente) vittime delle pressioni economiche imposte da scelte politiche.

Per Federvini serve una crescita condivisa e sostenibile

Micaela Pallini, Presidente di Federvini

Gli fa eco Micaela Pallini, presidente di Federvini, sottolineando come già, tra il 2017 e il 2021, il comparto degli spiriti sia stato vittima dell’ingiusta imposizione daziaria. Si rende quindi necessaria una forte collaborazione, a livello internazionale, tra produttori e istituzioni.

Affinché la filiera riceva la giusta protezione che merita, serve una strategica collaborazione, che potrà “alimentare una crescita condivisa e sostenibile”. L’imposizione tariffaria al comparto degli spiriti – una tra le eccellenze per entrambi i Paesi – potrebbe impattare non solo sul sistema produttivo ma anche sugli stessi lavoratori. Ancor più considerando l’aspetto inflattivo del dazio, con l’aumento del prezzo finale – che colpisce direttamente il consumatore.

Dunque, l’inequivocabile appello di Federvini è rivolto a entrambe le Parti. Agli USA, affinché non reintroducano la barriera tariffaria. E anche all’’UE, affinché non riattivi il cosiddetto “dazio di ritorsione”, per colpire i whiskey americani.

Gli spiriti e la querelle Airbus-Boeing

Dal 1997 al giugno del 2018 non sono mai stati applicati dazi al commercio bilaterale di spiriti tra USA e UE: questa libera circolazione delle merci ha favorito gli scambi tra i due Paesi, con un aumento di quasi 450 punti, durante il ventennio. Tuttavia, c’è una data spartiacque. Ed è il 2018. In seguito alla controversia (iniziata nel 2004) tra USA e UE – per la querelle Airbus-Boeing, sui sussidi pubblici ai produttori di aeromobili – nel 2018 la WTO autorizza gli USA a imporre dazi su beni europei. Washington, quindi, applica una tariffa doganale del 10% sugli aerei Airbus e del 25% su altri prodotti europei. Tra questi, anche gli spiriti. La scelta commerciale ha, per forza di cose, influenzato il trend delle vendite dei suddetti beni: quelle tedesche hanno segnato una contrazione che ha toccato la punta più bassa tra il 2020 e il 2021 (-66% rispetto al 2018), mentre le italiane hanno registrato un -41% nel medesimo periodo.

Con la tregua, intervenuta nel 2021, le esportazioni di spiriti dei due Paesi europei hanno mostrato una ripresa. In realtà le tedesche si sono nuovamente contratte nel 2023, mentre le italiane hanno continuato a crescere, seppur meno intensamente.

Lo scenario attuale (tra vino e whiskey) e quello futuro

Se invece analizziamo l’export di vini, nell’ottica della controversia commerciale, la situazione è diversa. Quando nell’agosto del 2020 la United States Trade Representative (USTR) aggiornò l’elenco dei prodotti colpiti dai dazi USA, i vini italiani vennero graziati, inizialmente per un periodo di sei mesi. Con l’arrivo di Biden, poi, la situazione migliorò, rimanendo tale, negli anni. Ma ora potrebbe cambiare nuovamente.

Intanto, una cosa è certa: la controversia commerciale non ha colpito solo i prodotti europei, ma anche quelli statunitensi, per la contestuale ritorsione dell’UE nell’applicazione dei dazi. Fino al 2021 gli USA hanno registrato un crollo delle vendite di whiskey e di altri spiriti, sul mercato globale ed europeo. La ripresa è arrivata solo negli anni successivi.

Oggi, alla luce di questi dati (e di molti altri ancora), appare evidente come, nella diatriba commerciale, le vere vittime delle imposizioni daziarie siano stati i mercati. E, a seguire, le imprese, i lavoratori e i consumatori finali. A chi giova tutto ciò? A nessuno. Sfidare il libero scambio, per la cui realizzazione ci sono voluti decenni di diplomazia, penalizza una crescita economica condivisa e sostenibile. E compromette la stabilità globale.

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